Basilica di Santa Croce

Nella centralissima via Umberto I, la basilica di Santa Croce costituisce, insieme all’adiacente convento dei Celestini, un fondale scenografico di ineguagliabile bellezza, un tempo orgoglio artistico dei Padri Celestini ed ora insuperabile espressione del barocco leccese.

La chiesa di S.Croce fu edificata per la prima volta, per volere dei Padri Celestini, nel secolo XIV vicino al nucleo medioevale del Castello, ma l’ordine dell’imperatore Carlo V di ampliare l’antico maniero comportò nel 1539 la demolizione del tempio e dell’annesso convento.

La nuova chiesa, più grande e sontuosa, fu realizzata a partire dal 1549 nel sito attuale, dove allora vi era il quartiere della Giudecca, da cui la comunità ebraica era stata allontanata alcuni anni prima. 

Progettista dell’intera fabbrica fu l’architetto leccese Gabriele Riccardi, detto “Beli Ricciardo”, che curò anche la realizzazione della parte inferiore della facciata, fino al piano della balconata.

La facciata, legata alla maestria creatrice dei più grandi architetti della Lecce cinquecentesca e seicentesca, è un palinsesto unico per bellezza, le cui tre sezioni si fondono armonicamente, in un’ascensione graduale verso il Vessillo della Croce.

Il piano inferiore, di impianto cinquecentesco, rappresenta la sfera del terrestre e addirittura del demoniaco pagano. Oltre alle presenze mostruose (arpie, sirene, sileni, anfibi) che spuntano tra i capitelli, la rappresentazione che più colpisce sono le 13 sculture-telamoni che reggono la balconata. Le figure scolpite sono quelle di animali, tratti dai bestiari medioevali e mitologici, che si alternano a figure di soldati orientali, piegati dal peso della balaustra. L’allusione simbolica è ai pirati del Mediterraneo sconfitti nella battaglia di Lepanto del 1571, che sancì la vittoria definitiva delle forze cattoliche occidentali sull’impero ottomano. 

Il piano superiore è invece un manifesto della Cristianità. Passata nelle mani dell’architetto Cesare Penna, la tripudiante decorazione plastica, in cui esplode il barocco leccese, diventa esibizione e glorificazione della religione cristiana e dell’Ordine dei Celestini. Contrapposti ai 13 telamoni oppressi e mostruosi, sopra la balaustra sgambettano 13 puttini festosi, che sembrano danzare esibendo la tiara e le corone, emblemi dell’alleanza tra papato e potere temporale. 

Al centro trionfa il grande rosone, divenuto icona del barocco leccese: è il simbolo del Cristo-sole con un carosello di cherubini, gigli e melagrane, che sembra ruotare imprimendo all’intera facciata ritmo e vitalità.  Ai lati vigilano le grandi statue dei Santi fondatori: San Benedetto e di San Celestino V e sulle volute laterali troneggiano due grandi figure femminili rappresentazione delle virtù cristiane della Fede e della Fortezza.  Un cartiglio con la data 1646 indica l’anno di conclusione dei lavori.

Nel fastigio, opera di Giuseppe Zimbalo detto “lo Zingarello”, la facciata raggiunge la sua sintesi finale inneggiando al cielo-paradiso: il trionfo della Croce.

L’interno della chiesa, oltrepassati gli sfarzosi portali scultorei, opera di Francesco Antonio Zimbalo, colpisce la lunghezza della navata centrale, ritmata dalla sequenza di dodici colonne che culmina, all’incrocio con il transetto, con la splendida cupola.

La sensazione è di totale armonia degli spazi, che nelle dimensioni riproducono quelli del Tempio biblico di Gerusalemme, costruito da re Salomone nel X secolo a.C.: la lunghezza è due volte l’altezza (misurata alla cupola).

Da non perdere

Ogni altare ci riserva una sensazione di meraviglia: 

  • quello di Celestino V che, inginocchiato davanti alla Vergine, cerca la purezza contro vanità ed egoismi;
  • quello prospettico di S. Francesco di Paola, capolavoro barocco di Francesco Antonio Zimbalo, che sembra voler fuoriuscire dalla parete, con le 12 storie scolpite sulla pietra che narrano la vita del Santo;
  • quello di S.Oronzo che per un momento ci riporta nel mondo terrestre, con un ringraziamento in vernacolo per lo scampato pericolo nel terremoto del 1743;
  • quello più intimo e drammatico contenente la reliquia della vera Croce, capolavoro di Cesare Penna

Curiosità & anedotti

La Basilica contiene molti significati simbolici ed allegorici, che sono stati nel tempo interpretati in modi diversi. Su un capitello del transetto è scolpito Melchisedek (re di giustizia), sacerdote protettore di Abramo, identificato nell’Antico Testamento come re di Salem (forse l’antica Gerusalemme). La sua presenza scolpita nella pietra è un paragone della Basilica alla Celeste Gerusalemme, quella costruita in cielo rivelatrice di giustizia.

La “colonna inglobata” in un pilastro, posta all’angolo della facciata verso vico della Saponea, è stata interpretata come simbolo del paganesimo, rinserrato e imprigionato nel pilastro, probabile simbolo della virtù cristiana della fortezza.

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