Castello Carlo V

Nel cuore della città, tra le tante architetture religiose e civili, un’insolita architettura militare esibisce “taglienti” e aggressivi bastioni lanceolati: il Castello di Lecce che, con la sua estensione di circa 13.000 metri quadrati, costituisce il più esteso castello di Puglia.  

Un tempo caposaldo di difesa ad oriente della cinta muraria fortificata, oggi si presenta isolato su tre lati, ma possiamo ancora coglierne la magnificenza, sebbene si presenti dimezzato nella sua altezza originaria, a seguito del riempimento nel 1872 dei fossati che lo delimitavano.

Superba testimonianza di Lecce città-fortezza e del potere imperiale, pur conservando al suo interno componenti del maniero medioevale, è conosciuto come Castello di Carlo V, dal nome dell’imperatore che nel 1539 ordinò la ricostruzione del precedente Castello, del tutto inadeguato per proteggere gli abitanti dal pericolo dei Turchi che “scorrazzavano” nel Mediterraneo.

L’incarico per la ricostruzione del Castello e dell’intera cinta muraria, fu affidato a Giangiacomo dell’Acaya, ingegnere-architetto di fiducia della corona spagnola, che perimetrò la città con una nuova fortificazione dotata di possenti bastioni che, soppiantando le torri merlate della cinta medioevale, si prestavano all’uso delle nuove armi da guerra: le artiglierie.

Decise anche di ammodernare ed ampliare il maniero medioevale, inglobandone al suo interno le parti più rappresentative e perimetrandolo con una possente cortina muraria quadrilatera, dotata di bastioni a punta lanceolata, due rivolti verso la città (S.Croce e S.Trinità) e due verso la campagna (S.Martino e S.Giacomo). 

La parte interna centrale, dominata dalle Torri superstiti del castello medioevale (la Torre Magistra e la Torre Matta), accoglie oggi al primo piano (denominato “quarto nobile”) gli ambienti che in età medioevale furono la residenza principesca della contea di Lecce, in cui spicca l’elegante sala di Maria d’Enghien, coperta da una splendida volta “a botte” lunettata su mensole scolpite. Al centro della copertura lo stemma del viceré di Napoli Don Pedro de Toledo, committente dei lavori cinquecenteschi.

Il Castello ha accesso da due porte, una da via XXV Luglio e l’altra da piazza Libertini che, dopo il riempimento dei fossati, sono state private dei ponti levatoi, di cui sono ancora visibili le feritoie che contenevano le aste di manovra e le catene per il loro sollevamento.

Perse le funzioni di dimora signorile e di fortezza, per lunghi anni caserma e presidio militare, a partire dal 1994 il Castello è stato sottoposto ad una serie di interventi di restauro, curati dal Comune di Lecce e dal Ministero dei Beni Culturali, che ne hanno consentito la riapertura alla pubblica fruibilità.

Di proprietà del Demanio dello Stato, dopo un periodo di gestione condivisa tra Stato e Comune, dal febbraio del 2023, il bene monumentale è  passato nell’esclusiva disponibilità del Ministero dei Beni Culturali.

Da non perdere

Il Castello offre al suo interno diversificati percorsi turistici, tramite i quali il visitatore potrà scoprirne la storia con tour guidati e multimediali, che lo porteranno alla scoperta anche degli spazi più nascosti e misteriosi, quali “le prigioni” e i sotterranei.

Lo stemma gigante del potere asburgico, scolpito sulla pietra leccese, è visibile sul portale in piazza Libertini e sul prospetto interno che guarda la piazza D’Armi: un’aquila bicefala sorregge lo scudo istoriato dell’imperatore Carlo V, circondato dal collare dell’Ordine del “Toson d’Oro” con un pendulo ariete, onorificenza del Sacro Romano Impero d’Occidente.

Curiosità & Anedotti

I rinvenimenti archeologici nel sito hanno evidenziato presenze risalenti al nucleo più antico del maniero, già esistente in età normanno-sveva, con successive trasformazioni in età svevo-angioina, quando il Castello fu dimora dei feudatari della contea di Lecce (di Brienne, d’Enghien e Orsini del Balzo).

Nei sotterranei del castello furono nascosti i tesori del principe Giovanni Antonio Orsini, ultimo Conte di Lecce, costituito da animali in oro massiccio e seicentomila monete d’oro, coniate nella sua Zecca, sita nella Torre del Parco. Alla sua morte il re di Napoli Ferrante D’Aragona si fece consegnare il tesoro dal castellano.

Nel 1539, per consentire l’ampliamento del Castello, fu demolito il Convento celestino di S.Croce e l’annessa cappella della Santa Trinità, in seguito edificati in via Umberto I. Per non dimenticare quell’importante complesso religioso, due bastioni più vicini all’antica fabbrica furono intitolati S.Croce e S. Trinità.

L’ingegnere del Regno Giangiacomo dell’Acaya (1500-1570) concluse male la sua vita: fu rinchiuso, come debitore insolvente, nelle umide prigioni del Castello, che lui stesso aveva progettato.

  • Immagini e video

  • Come raggiungerci

  • Informazioni aggiuntive