Chiesa delle Alcantarine

Percorrendo la rettilinea via Principi di Savoia, giunti in piazzetta Giorgio Baglivi sorprende la facciata imponente della chiesa delle Alcantarine, gioiello tardobarocco delle suore devote a S.Pietro d’Alcantara, che si connota come un fondale di palcoscenico nitido e armonioso.                                                                  

Perfettamente riuscita, per eleganza di linee ed armonia di scansione, la chiesa fu voluta dalle suore Alcantarine al posto della chiesa realizzata pochi anni prima dall’architetto Giuseppe Cino, che non aveva soddisfatto le loro aspirazioni e le regole dell’ordine monastico. 

Il merito della nuova fabbrica è dovuto al lascito testamentario del benefattore Giuseppe Angrisani, barone di Torchiarolo, che ne finanziò la ricostruzione, per dare rifugio claustrale alle sue due figlie, che vollero diventare anch’esse Alcantarine. 

L’incarico fu affidato all’ingegno creativo dell’architetto Mauro Manieri, il grande protagonista del barocco settecentesco leccese. La costruzione ebbe inizio nel 1724 e terminò il 1744.

La facciata, pervasa di eleganza e sobrietà, è articolata in tre ordini che degradano verso l’alto conferendo all’insieme leggerezza ed armonia. Paraste con capitelli corinzi scandiscono la superficie muraria inquadrando al centro il portale, il finestrone e il fastigio e ai lati nicchie con statue, che movimentano la scena con teatrali atteggiamenti. I due frati Alcantarini più noti sono quelli posti nel secondo ordine: il fondatore S.Pietro d’Alcantara e S.Pasquale Baylon, proclamato santo pochi decenni prima (1690).

Tra i motivi ornamentali spicca una capricciosa doppia voluta di raccordo tra i primi due ordini e le “pigne”, che concludono il percorso ascensionale delle lesene laterali.

L’interno, a navata unica rettangolare, è scandito da alte paraste tra le quali si aprono tre cappelle per lato e l’ampio presbiterio a pianta quadrata. L’ambiente è racchiuso tra un bel pavimento maiolicato ottocentesco e una volta carenata, decorata con stucchi. Sugli archi delle cappelle laterali vi sono le grate dei “coretti” dalle quali le suore di clausura seguivano le funzioni religiose.

Il convento, realizzato nel XVII secolo, fu soppresso nel 1803 passando in proprietà allo Stato che lo destinò a caserma. Nel 1835 si procedette alla sua demolizione, a cui seguirono lavori di ampliamento e rettifica dei fronti stradali lungo la piazza. 

La chiesa dal 1836 è di proprietà dell’Arciconfraternita Maria SS.ma della Provvidenza e di Sant’Antonio Abate, ivi trasferita dalla chiesa periferica di S.Maria dell’Idria. 

Da non perdere

La chiesa custodisce numerose opere d’arte sacra di rilevanza artistica tra cui, nel primo altare a sinistra e a destra, le settecentesche tele della “Crocifissione e Santi “e della “Vergine col Bambino e Santi”.

Nel presbiterio vi è la tela “l’Adorazione dei Pastori” di Diego Bianchi da Manduria e le due statue di Santi in pietra attribuite a Mauro Manieri.

Tra le opere in cartapesta, nel terzo altare a sinistra, spicca nella sua perlacea moltitudine di colori primari, l’antica statua della “Madonna delle Ciliegie”, con la Vergine e il Bambino vestito di rosso a braccia aperte e alzate, circondati da sette puttini festosi. 

Curiosità & aneddoti

L’ Arciconfraternita che officia la chiesa promuove ogni anno lo svolgimento di un particolare evento devozionale che attrae la cittadinanza e i visitatori.  Il 24 maggio viene portata in processione la “Madonna delle Ciliegie” dove un carretto, trainato da un asino e colmo di ciliegie benedette, segue il simulacro della Madonna. Alla fine della processione le ciliegie vengono distribuite tra i partecipanti, come augurio di abbondanza e provvidenza. Per l’evento l’Arciconfraternita acquista circa mezza tonnellata di ciliege “Ferrovia” dalla vicina Turi nel barese, la città delle ciliegie più buone d’Italia.

La sera del 17 gennaio, in occasione della festa di S.Antonio Abate “il Santo del fuoco”, in piazzetta Baglivi veniva accesa la “focara”, richiamando l’evento del  più grande falò del Mediterraneo che viene ancora acceso lo stesso giorno nella cittadina di Novoli. Il falò dell’altezza di 20 metri raccoglie circa 90.000 fascine di sarmenti di vite, la pianta da cui si produce il pregiato vino Moscato e Negroamaro salentino.

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