Chiesa di San Matteo
Si presenta come una “bella sorpresa”, nel punto in cui convergono quattro piccole vie della città storica, la chiesa che, seppure estranea alla cultura locale, sarà denominata il “Pantheon del barocco leccese”, la più barocca delle chiese barocche.
Come la maggior parte delle chiese leccesi, nel continuo sovrapporsi di fabbriche, fu edificata sulle rovine di una cappella medievale, dedicata all’Apostolo Matteo, annessa al convento delle Terziarie francescane fondato nel 1474.
La facciata si differenzia nettamente dalle altre chiese della città per la forma e i contrasti impressi alle superfici. Questa singolare impostazione è dovuta alle origini forestiere del progettista: l’architetto Giovanni Andrea Larducci di Salò, il quale si ispirò alla chiesa di S.Carlo alle Quattro Fontane, capolavoro realizzato a Roma da Francesco Borromini.
Il vescovo Luigi Pappacoda, massimo propulsore dell’architettura barocca, nel 1667 pose la prima pietra dei lavori, che terminarono nel 1700.
La facciata, articolata in due ordini, è tripartita da due colonne che inquadrano al primo ordine il portale sormontato da un’edicola e al secondo una “serliana”, ossia una trifora avente l’apertura centrale ad arco e le laterali con architrave. La partitura muraria è scandita in orizzontale da una trabeazione curvilinea fortemente aggettante e dalla cornice di coronamento, su cui svetta il fastigio.
Sul portale spicca lo stemma dei Francescani, con il braccio di Cristo e S.Francesco incrociati.
L’architetto lombardo impresse alla facciata un movimento particolare: alla superficie convessa del piano inferiore, lavorata “a squame e a punta di diamante”, volle contrapporre la superficie concava e liscia del secondo, facendo percepire la chiesa come un organismo vivente, capace di respirare dilatandosi ed inflettendosi.
L’interno è ad unica navata con pianta pseudo-ellittica allungata, scandita da lesene scanalate che terminano, oltre le bifore dei “coretti”, con una trabeazione continua.
Tanto innovativa all’esterno, tanto aderente alla tradizione locale nell’apparato decorativo interno: nove cappelle accolgono altari tipici del barocco leccese con superbe colonne tortili, ricche di decorazioni e di preziose tele.
Alle paraste che fiancheggiano le cappelle sono addossate, su alti plinti, le statue in pietra degli Apostoli, realizzate nel 1692 dallo scultore salentino Placido Buffelli. Posti fuori dalle nicchie e dagli impaginati degli altari, i Santi si ritrovano in una dimensione teatrale e sembrano rivolgersi ai fedeli in svariate pose, con accentuate gestualità e movimento delle vesti.
Adiacente alla chiesa sorgeva il convento delle Terziarie francescane, che insediarono la loro dimora in quella che era la casa gentilizia di una gentildonna leccese. A seguito della soppressione in età napoleonica, nel 1812 la comunità religiosa dovette abbandonarla e la chiesa divenne sede parrocchiale. Le monache claustrali furono accolte nel monastero delle Benedettine, mentre gli spazi del convento furono adibiti a scuola elementare.
Da non perdere
Magnifico e solenne, l’altare maggiore è una celebrazione del Barocco leccese. Attribuito allo scultore Giuseppe Cino, è stato paragonato per la finezza delle decorazioni a un “merletto” di pietra. Al centro di una nicchia con il fondo azzurro, tra stelle fiori e puttini, si erge la statua in legno di S.Matteo, una delle opere più belle dello scultore napoletano Gaetano Patalano.
Sopra la statua spicca la tela con “L’Angelo che trasporta la torcia” che ricorda il “miracolo della luce” che diede origine nel secolo XV alla chiesa di S.Maria della Luce, ormai crollata.
Nell’altare della Madonna della Luce vi è una testimonianza di arte tardo-gotica proveniente da quella chiesa: l’affresco della “Madonna con il Bambino”. Il Bambino ha in mano una rondine, simbolo della Passione e al collo un rametto di corallo, simbolo della Resurrezione. L’usanza di regalarlo ai neonati come amuleto è giunta fino ai giorni nostri.
Curiosità & aneddoti
Sulla facciata, la colonna a destra del portale è intagliata con una scanalatura “a spirale” solo nel primo quarto. Si narra che sia rimasta incompleta perché il diavolo, invidioso della bravura dello scultore, lo fece morire. La colonna è conosciuta infatti come “la colonna del diavolo”.
Nel realizzare i 12 Apostoli, Placido Buffelli si invaghì tanto del suo lavoro da paragonarsi a Fidia, il più grande scultore della Grecia antica. Bisogna comunque riconoscere che fu bravo: gli Apostoli sembrano voler scendere dai loro piedistalli, per sedersi sulle panche tra i fedeli. In realtà c’era un giorno in cui ciò avveniva: il giovedì santo in chiesa veniva imbandita la tavola dell’Ultima Cena.
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