Ex chiesa e Conservatorio di San Sebastiano
In vico dei Sotterranei, stradina ammantata di mistero per la presenza di storie sepolte e presenze archeologiche ancora inesplorate, di fronte alla mole imponente del prospetto secondario del Duomo, si erge la piccola chiesa votiva di San Sebastiano.
Realizzata nel 1520, in segno di ringraziamento per la fine dell’epidemia di peste, fu intitolata a S.Sebastiano, protettore dal morbo. Si narra che fosse intitolata al Santo anche la sottostante struttura ipogea, rinvenuta nel corso degli scavi eseguiti il 1762 e il 1910, dove emersero alcuni affreschi che riconducevano all’immagine iconografica del giovane martire.
La facciata, ad unica cuspide, presenta un portale che richiama il linguaggio dell’architetto leccese Gabriele Riccardi. Inquadrato da due colonne scanalate, è arricchito da motivi ornamentali propri dell’architettura rinascimentale (bassorilievi “a candelabra” sugli stipiti), oltre ad inconsuete “sfingi” egiziane sul fregio della trabeazione. Ancora presente una sequenza di “archetti pensili” di ispirazione romanica, mentre non vi è più traccia dell’originario rosone, sostituito da una finestra quadrata.
L’interno, a pianta longitudinale e navata unica, aveva un’originaria copertura a capriate lignee, oramai perduta. La zona del presbiterio ha una copertura a volta, anticipata da un grande arco murario. Le pareti laterali sono scandite da arcate che un tempo accoglievano gli altari.
Unico elemento superstite è un “comunichino” cioè uno pseudo-altare, dal quale le claustrali ricevevano l'Eucaristia senza accedere alla chiesa. In alto sulla parete interna sono ancora presenti le grate e altre tracce murate dei “coretti”, dai quali le monache di clausura assistevano dall’alto alle funzioni religiose senza essere viste.
Fu il frate cappuccino Bernardino Da Balbano a volere un ricovero per l’accoglienza di giovani donne dal passato peccaminoso, ex prostitute che, sotto la guida delle suore Cappuccine, volevano intraprendere un percorso di redenzione.
Accanto alla chiesa nel 1583 nacque il Conservatorio di San Sebastiano, meglio conosciuto dai leccesi come Conservatorio delle “Pentite”, primo ricovero femminile in città, luogo pio di recupero sociale per emarginate ed indigenti.
A metà del 1600 il Conservatorio ben funzionava accogliendo oltre 100 donne, 20 delle quali erano monache. Le ospiti aumentarono nel 1700, quando l’assistenza educativa fu estesa alle “pericolanti” e alle “pericolate” ovvero orfane povere e giovani rimaste sole perché sedotte ed abbandonate.
Dopo tre secoli di attività caritativa, intorno alla metà del XIX secolo, il Conservatorio iniziò il suo decadimento, con la confisca dei beni da parte dello Stato. Sconsacrata nel 1967, la chiesa divenne un deposito di legnami e persino un’officina meccanica.
Rilevato dalla “Fondazione Palmieri” questo piccolo monumento cittadino è diventato uno spazio culturale che ospita conferenze ed esposizioni temporanee.
Da non perdere
Sotto la cuspide della facciata, si scorge un bassorilievo con la prima raffigurazione della “Veronica” in città. Si tratta di un’icona religiosa che riporta alla leggenda di Gesù che andando verso il Calvario si asciugò con un panno di lino, lasciandovi impressa la sua immagine.
Gli affreschi superstiti sulle pareti risalgono probabilmente al XVI secolo. Tra questi, nella terza arcata a sinistra, vi è l’affresco della ”Pietà” che richiama il noto disegno michelangiolesco a carboncino della “Pietà per Vittoria Colonna”, ora conservato in un museo di Boston.
Curiosità & aneddoti
Al Conservatorio di San Sebastiano, nella metà del secolo XVII, si aggiunsero altri due Conservatori (quelli di San Leonardo e di Sant’Anna), anch’essi tutti al femminile.
Le ”Pentite” per far fronte ai loro bisogni vendevano all’esterno, da dietro le grate del convento, prodotti artigianali fatti a mano, tra cui “bellissimi ventagli” di carta fregiati in oro.
Sebastiano era un militare romano che fu castigato dall’imperatore Diocleziano con il supplizio della flagellazione, dopo essere sopravvissuto alle frecce legato ad un palo sul colle Palatino. Il culto per questo santo persiste da 2000 anni. E’ patrono di molte città, tra cui le vicine Gallipoli e Galatone, ma anche di Rio de Janeiro.
Vico dei Sotterranei fu così chiamato perché gli scavi rivelarono percorsi sotterranei che andavano in diverse direzioni. Uno conduceva alla Cattedrale e si sperava portasse al sepolcro dei Santi Patroni Oronzo, Giusto e Fortunato. Il vico custodisce nel sottosuolo un prezioso mosaico pavimentale, appartenente ad una domus di epoca romana. Si accede da una botola a filo stradale.
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