Palazzo Giaconia

Sul fronte rettilineo di piazza dei Peruzzi, allineata all’ex convento di S.Francesco, si erge la facciata di un imponente edificio cinquecentesco, che fu residenza di  gentiluomini e famiglie blasonate e che ora, dietro quelle altere cortine murarie, non riesce a dissimulare il peso di secoli di storia e umane vicissitudini. 

Il prelato leccese Angelo Giaconìa, vescovo di Castro, nel 1546 iniziò la costruzione del palazzo, che prese il nome di Palazzo Giaconìa, in un’area periferica a ridosso della cinta muraria. Mori senza completarla e la vasta fabbrica passò in proprietà prima del suo creditore e poi dell’umanista Vittorio de’ Prioli, sindaco di Lecce nel 1593. 

Il conte Vittorio de’ Prioli, appassionato di storia e archeologia, creò in questa aristocratica dimora una biblioteca e il primo museo della città, allestito en plein air nel verdeggiante giardino con colonne, bassorilievi, iscrizioni, statue. 

Il palazzo divenne poi dimora di famiglie nobiliari salentine, ciascuna delle quali abbellì, ampliò e trasformò parti della costruzione. Vi abitarono i Carignani duchi di Novoli, poi i Lopez Y Royo duchi di Taurisano, poi i casati dei Tresca e dei Castriota Scanderberg.  All’inizio del 1800, durante l’occupazione francese, fu anche dimora di alcuni generali delle milizie, tra cui Giuseppe Lechi, che vi insediò la prima loggia massonica di Lecce. 

La funzione residenziale cessò con l’arrivo di Anna Antonacci, giovane donna non vedente che, ispirata ad istruire i bambini ciechi, nel 1927 riuscì ad insediare nel palazzo l’Istituto dei Ciechi, che ancora oggi ne conserva l’uso, sotto la vigilanza del suo busto in bronzo. 

La facciata, che si allunga per oltre 80 metri inoltrandosi anche su via Scipione de Summa, è un prototipo di architettura compatta ed austera del 1500. Al piano inferiore vi sono due portoni in stile catalano-durazzesco (un arco inquadrato in una cornice rettangolare), mentre l’intero prospetto è scandito da dodici aperture tra porte e finestre, adornate da eleganti cornici. 

L’interno, articolato in piano interrato, terra, primo e secondo, è al momento utilizzato solo in parte dall’Unione Ciechi per le loro attività assistenziali. Scenografico lo scalone novecentesco, che si protende trasversalmente verso il giardino, dal quale si accede alla sala conferenze e agli spazi della biblioteca.

Il giardino del palazzo e il tratto di cinta muraria che lo delimita sono stati inseriti, dopo un importante intervento di restauro, nel nuovo percorso turistico-culturale lungo le Mura urbiche, attirando in questo “scrigno di storia” migliaia di visitatori.

Da non perdere

Dietro il portone su piazza dei Peruzzi vi sono due bassorilievi in pietra leccese attribuiti a Gabriele Riccardi, che rappresentano due episodi narrati nell’Antico Testamento: “Il Trionfo di David su Golia” e “David che scrive”. 

Gioiello del palazzo è la Biblioteca Braille, che contiene circa 10.000 volumi scritti in braille, sistema di lettura tattile a rilievo per non vedenti e ipovedenti, dal nome del suo inventore Louis Braille.

Gioiello non minore è il Giardino Giaconia, uno dei più belli della città, incluso nel percorso di fruizione lungo le Mura urbiche tramite la passerella in acciaio posta nel parco delle Mura. 

Curiosità & aneddoti

La storia di Golia e Davide, che con la fionda uccide il gigante, ha ispirato capolavori artistici: il David in bronzo di Donatello, il David in marmo di Michelangelo e il “Davide con la testa di Golia” del Caravaggio. Il duello tra Davide e Golia è inciso sul portale della chiesa delle “Scalze”.

Sull’architrave di una porta dell’atrio è incisa la frase “MIHI OPPIDU CARCER ET SOLITUDO”. Interpretando “PARADIS” la parola poco leggibile, la frase si tradurrebbe: “A ME RINCHIUSO DA (QUESTE) MURA IL CARCERE E LA SOLITUDINE SONO IL PARADISO”. Il riferimento è a Vittorio de’ Prioli, che visse in solitudine nella sua paradisiaca dimora. 

Sull’angolo del prospetto del palazzo sono impressi sulla pietra: un compasso, un filo a piombo, una “mannara”, un martello e una cazzuola. Sono stati ipotizzati tanti significati, tra cui quello di rappresentare insegne massoniche, ma il più probabile è la bizzarrìa del costruttore, che ha esibito gli strumenti di lavoro dei maestri muratori.

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