Piazza Sant'Oronzo

Poche città si identificano così tanto con la propria piazza. Piazza S.Oronzo è per i leccesi il principale luogo di incontro, intrattenimento e location privilegiata per spettacoli ed eventi musicali, il tutto sotto lo sguardo del Santo protettore Oronzo, che da oltre 3 secoli osserva dall’alto della colonna tanti avvenimenti cittadini.

In un centro storico in cui lo spazio urbano è privo di visuali prospettiche, dove i monumenti si presentano “a sorpresa” e si scorgono dietro un angolo quasi per caso, piazza S.Oronzo stupisce non poco per la sua singolarità.  

Qui lo scenario è del tutto diverso dalle altre parti della città antica. Sui fondali prospettici perimetrali, gli edifici di maggior pregio, la chiesa di S.Maria delle Grazie, il Palazzo dei Tribunali, il Palazzo di città si alternano tra le altre architetture della Lecce ottocentesca e contemporanea. 

Al centro, mancano i curvilinei isolati di impianto medioevale che un tempo avvolgevano, come in una spirale, una piazza tutta da scoprire. Furono demoliti per far posto all’Anfiteatro di età imperiale romana.

L’antica piazza (che si chiamava “Piazza dei mercanti”) ferveva di vita sui ruderi di quell’enorme monumento dal quale spuntavano, oltre il piano stradale, enigmatici blocchi murari. I cittadini sapevano che sotto vi era qualcosa di misterioso. Pensavano che dai vari cunicoli si dipartisse una via sotterranea che si collegava con l’antica città di Rudiae.

Era il 1900, data di costruzione della Banca D’Italia, quando lo studioso Cosimo De Giorgi, intuendo che i resti affioranti appartenessero ad un edificio romano, avviò le indagini archeologiche in vari punti della piazza.

Ma le indagini non si conclusero lì, perchè poco dopo, con il sopravvento del fascismo, subentrò l’interesse a glorificare gli splendori di Lecce romana, con la messa in vista dell’Anfiteatro.

Nel 1938 una vera e propria smania demolitrice, mossa dal desiderio di magnificenza, comportò la demolizione, in tempi brevissimi, di significative testimonianze storiche, dando il posto all’Anfiteatro, colossale edificio per gli spettacoli di età romana.

La piazza cambiò forma e orientamento.  Al centro, si salvarono per miracolo tre monumenti, che oggi hanno trovato “ragione e armonia” nella nuova identità di sopravvissuti: il Sedile, la chiesa di S.Marco, la colonna con la statua di S.Oronzo.

Lungo il perimetro furono disposti i nuovi edifici di chiara impronta razionalista: il palazzo I.N.A., il Banco di Roma, il Palazzo della Borsa, tutti con gallerie porticate rivolte verso la piazza. Questo ordinato “recinto” dei palazzi degli affari ha soppiantato per sempre l’antica piazza dei Mercanti. 

Da non perdere

Sull’ovale della piazza vi è un mosaico che rappresenta lo stemma cittadino con la “Lupa sotto l’albero di Leccio”, realizzato nel 1930 da Giuseppe Nicolardi. Gli abitanti che attraversano la piazza cercano di non calpestarlo… per motivi scaramantici.

Sul prospetto dell’attuale Banco di Napoli, vi è l’ “orologio delle meraviglie” in stile liberty, realizzato nel 1955 in bronzo e rame smaltato da Francesco Barbieri.   Un recente restauro lo ha restituito alla sua originaria bellezza, evidenziandone i dettagli ornamentali ricchi di simbolismi.  Con i suoi 20 quintali, 10 metri di altezza e 52 fusioni in bronzo, è stato definito “uno degli orologi più grandi del mondo”.

Curiosità & aneddoti

Nell’antica piazza dei mercanti vi era un isolato denominato “le Capande”. Aveva un porticato a grandi archi, dove i veneziani esponevano sete, preziosi drappeggi, libri, argenti. Questo luogo, pittoresco e affollato, superava in qualità e assortimento i più sofisticati attuali grandi magazzini.

Tiriamo un sospiro di sollievo se la piazza, dal 1871 denominata Piazza S.Oronzo, non abbia nuovamente cambiato il suo nome.  Dopo la scoperta dell’Anfiteatro romano, ci fu un tentativo di rinominarla “Piazza dell’impero”.

I leccesi sono abituati a sentire i rintocchi di tante campane, ma a mezzogiorno una musica speciale inonda Piazza S.Oronzo: è la voce di Tito Schipa, il grande tenore leccese, definito “l’usignolo d’Italia”, che canta la melodica “Ave Maria”, ma anche la dialettale “Quannu te llai la facce la matina” cioè “Quando ti lavi la faccia la mattina”.

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